OPINIONS


MONITOR BY MICHELE BAZAN GIORDANO

In un recente saggio, Centro senza Centro, Mimesis, 2025, Paola Nicita, docente di  Teoria della percezione e psicologia della forma all’Accademia di Belle Arti di Palermo, ed Emanuele Lo Cascio (che ha anche realizzato le foto) ripercorrono vicende e sguardi su uno dei più discussi quartieri ‘satellite’ del capoluogo siciliano, lo Zen (acronimo di Zona Espansione Nord che farebbe invece far pensare a nobili filosofie orientali). In principio - spiega Nicita - a Palermo ci furono i bombardamenti della seconda guerra mondiale; poi il fallimento del piano di ricostruzione; e ancora un Piano Regolatore (1956-1963) che «rimarrà invischiato in maglie di potere, legali e illegali, che riverseranno problemi e incertezza sulle nuove edificazioni cittadine»; infine, le conseguenze del terremoto del 1968. Nicita intervista a tal proposito l’antropologo Marc Augé che «allo studio e alla riflessione dei mondi e le modalità di vita connessi alle periferie ha dedicato testi fondamentali».

 

In a recent essay entitled Centro senza Centro, Mimesis, 2025, Paola Nicita, a professor of Theory of Perception and Psychology of Form at the Academy of Fine Arts in Palermo, and Emanuele Lo Cascio (who also took the photos) retrace the events and perspectives on one of the most hotly debated 'satellite' neighborhoods in the Sicilian capital, the Zen district (an acronym for Zona Espansione Nord, which might wrongly call to mind noble Eastern philosophies). First of all – so Nicita explains - Palermo was bombed during World War II; then came the failure of the reconstruction plan; and later a Master Plan (1956-1963) that "would remain entangled in webs of power, both legal and illegal, which passed on issues and uncertainty to more recent urban development plans". Finally, the city had to deal with the aftermath of the 1968 earthquake. Nicita interviews the anthropologist Marc Augé on this subject; a man who «has written key works on the worlds and ways of life connected with the suburbs».


 

Lo Zen viene realizzato «attraverso stratificazioni di cemento e disgregazioni sociali» nell’area Piana dei Colli, un tempo nota per le sue ville aristocratiche. Ma nel 1969 lo IACP (Istituto Autonomo Case Popolari) indice un concorso, vinto nel 1971 dall’archistar Vittorio Gregotti insieme con Franco Amoroso, Salvatore Bisogni, Franco Purini e Hiromichi Matsui (tutti nomi dell’architettura ‘alta’) che «delinea 18 insulae rettangolari - ognuna con 4 corpi di fabbrica - poste su una griglia stradale a scacchiera» e con la mente volta ai canoni arabi del centro storico. «Previste due scuole materne, due elementari, una media, 50 mila metri quadri di verde e impianti sportivi, un blocco polifunzionale e un sistema di porticati destinati ad accogliere attività produttive».

 

The  Zen neighbourhood is built «out of layers of concrete and social disintegration» in the Piana dei Colli district, once renowned for its aristocratic villas. And then in 1969 the IACP (Autonomous Institute for Public Housing) launched a competition, won by the star architect Vittorio Gregotti in 1971 in partnership with Franco Amoroso, Salvatore Bisogni, Franco Purini, and Hiromichi Matsui (all names from 'high-class' architecture), which "outlined 18 rectangular insulae - each consisting of 4 building blocks – set on a chequerboard road grid" inspired by Arab guidelines for building old city centres. "There were plans for two kindergartens, two primary schools, a middle school, 50,000 square meters of greenery and sports facilities, a multi-purpose block, and a system of porticoes designed to production work".


 

Peccato che quasi nulla di tutto ciò si concretizzerà: imprese che falliscono, varianti urbanistiche incongruenti con il progetto, occupazioni abusive e, soprattutto, insostenibile distanza dal resto della città, trasformeranno il progetto di Gregotti & C. in un totale fallimento, in una (ill)logica incompiutezza. Simile destino per lo Zen 2, sempre di Gregotti, dei primi anni 80. Nonostante gli sforzi di movimenti politici esterni tesi a migliorare la situazione, la sostanza, almeno quella relativa alla vivibilità, non cambia, tanto che architetti come Pier Luigi Cervellati e, poi, Massimiliano Fuksas ne auspicano l’abbattimento. Persino Renzo Piano, nel 2021, tenta «un rammendo delle periferie-Trenta Alberti per lo Zen 2».

 

It's a pity that almost none of this came to fruition: failing businesses, town-planning failings, squatting issues and, above all, its unsustainable distance from the rest of the city, turned Gregotti & Co.'s project into a total failure, an (il)logically incomplete work. A similar fate befell Zen 2, also designed by Gregotti, in the early 1980s. Despite the efforts of external political movements aimed at improving the situation, the substance, at least regarding its inhabitability, remained the same, resulting in architects like Pier Luigi Cervellati and later Massimiliano Fuksas calling for its demolition. In 2021 Renzo Piano toyed with the idea of "patching up the Trenta Alberti suburbs for Zen 2."


 

Risultato: «una superficie lastricata già sconnessa, punteggiata da sedute di cemento, un luogo che appare abbandonato a sé stesso, costellato da piante secche, sperduto in mezzo al nulla». Oggi la città contemporanea deve scegliere. Bisogna costruirla - dice Augé - «con le parole della democrazia o, al contrario» con quelle «dell’aristocrazia del sapere?».

 

End result: "a paved surface that was already uneven, dotted with concrete seats, a place that appears abandoned to itself, strewn with dry plants, lost in the middle of nowhere." The contemporary city of Palermo must make a decision. Should it be built – so Augé says - "in the name of democracy or, on the contrary," along the lines of "aristocratic knowledge?"