L'Arca International N° 130

Maggio / Giugno 2016

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Ha vinto il “mercato”?

 

Ancora una volta, come tutti gli anni, a Milano si è celebrata la settimana del Mobile e del design. Evento che vede svolgersi contemporaneamente, oltre al famoso Salone Internazionale del Mobile nella Fiera di Milano- Rho e al Fuorisalone, mostre esposizioni ed eventi vari che coinvolgono tutti gli spazi pubblici o privati del centro città oltre, dopo vent’anni, alla XXI Triennale di Milano con le sue diciannove mostre dedicate al tema “21st Century. Design After Design”.

 

Questa kermesse di mostre ed esposizioni, incredibile e unica al mondo, come era prevedibile ha avuto un enorme successo con centinaia di migliaia di visitatori da tutto il mondo che in sette giorni hanno trasformato l’intera città in un enorme bazar ludico dove tutti sembravano felici e disposti a vedere, acquistare e vendere tutto. Abbiamo visto migliaia di idee e proposte di nuovi prodotti soprattutto di arredo e di installazioni più o meno emozionanti che hanno coinvolto quasi tutto il sistema creativo e produttivo italiano e internazionale, e, nonostante migliaia di progettisti di tutto il mondo si siano impegnati al massimo della loro professionalità̀, mi sembra siano mancati completamente la ricerca, la sperimentazione e il sogno. Tutte qualità̀ creative che, a partire dagli anni Sessanta, grazie ai designer e alle aziende italiane, hanno consentito l’affermazione nel mondo dei prodotti italiani e hanno dato origine ai successi del Salone del Mobile, della Triennale, del Fuorisalone e a tutta la folle settimana di Milano.

 

Mi sembra che “after design” ci possa essere solo una stanchezza creativa con una preoccupante inclinazione a rileggere per lo più̀ riproduzioni di linguaggi e tecnologie appartenenti al “déjà vu” e sempre cercando di strizzare l’occhio al consumatore proponendogli prodotti dove il nuovo è ibridato con il conosciuto. Insomma anche io ne sono sorpreso, ma l’unico prodotto che mi ha veramente affascinato è stato un tavolo con quattro sottilissime gambe, lungo quattro metri e con il piano di uno spessore incredibilmente sottile. Spero cha anche per il design non si apra un nuovo periodo di involuzione progettuale che i soliti “saccenti” de niranno “post design” come avvenne per l’architettura dove per mancanza di idee si inventò e si celebrò il “postmoderno”. Con il risultato di contaminare mezzo mondo in un facile sistema compositivo che, sotto un cappello di falso intellettualismo linguistico, ottenne grande visibilità̀ mediatica e sviluppò il successo della banalità̀ progettuale; con grande soddisfazione del marketing immobiliare. Spero che il “mercato” e il “marketing empatico” non abbiano ancora una volta vinto togliendo la possibilità̀ alle avanguardie delle nuove generazioni di designer di innovare e sperimentare e di continuare a credere che il futuro potrà̀ essere migliore del presente e del passato.

 

Cesare Maria Casati