L'Arca International N° 124

Maggio / Giugno 2015

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Perché no ?


Già tre anni fa avevo scritto che prima di impegnare un vasto territorio nelle prossimità di una città come Milano per un grande evento internazionale ed effimero sarebbe stato utile ipotizzare per tempo come destinare l’area a evento terminato. Area che ricevendo il progetto di una Expo Universale sarebbe stata inevitabilmente infrastrutturata in modo ottimale in termini di trasporto, ospitalità e comunicazioni. Ebbene niente di tutto ciò è stato pensato o previsto; Expo si è aperta e ancora oggi nessuno ha un’idea plausibile di come saranno destinati, dopo la demolizione di tutti i padiglioni di Expo, questi 110 ettari, la cui collocazione è diventata internazionalmente e inevitabilmente prestigiosa e conosciuta. Spero che comunque non si cominci a pensare a “cittadelle” della giustizia, dello sport o universitarie.

 

Tutte soluzioni che nella storia hanno già dimostrato solo qualità segregative e discriminatorie senza possibilità di adeguamento alle trasformazioni ormai rapide della società nei suoi costumi e norme. Milano, città decisamente portata per l’architettura contemporanea e innovativa – basti pensare alla Fiera di Fuksas, a City Life di Zaha Hadid, Isozaki e Libeskind, all’area Porta Nuova-Garibaldi di Pelli, Kohn, Pedersen e Fox e altri – non avrà mai più una simile occasione. Ecco perché ancora una volta proponiamo alle autorità milanesi e regionali di voler prendere un’iniziativa simile a quella che cinquanta anni fa prese Parigi per trasformare il quartiere di Les Halles lanciando un concorso mondiale per l’edificio del Beaubourg, oggi Centre Pompidou. Concorso che ottenne una notorietà veramente mondiale e a cui parteciparono più di cinquecento architetti di tutto il mondo.

 

Non occorre un grande investimento di risorse, solo un bando decisamente innovativo che chieda l’idea di un progetto globale per tutta l’area, come un’unica grande costruzione che tenga conto dell’evoluzione che le tecniche costruttive inevitabilmente avranno nei prossimi decenni, che rappresenti la conoscenza della ricerca scientifica sui nuovi materiali e strutture sostenibili per qualità e per produzione industriale non inquinante. Soprattutto, che sia una vera comunità dove si possa vivere, lavorare, studiare e divertirsi a prescindere dalla propria ricchezza economica, possibilmente in armonia almeno con l’ambiente naturale e artificiale.

 

Non una nuova città, ma un nuovo quartiere in parte autonomo e talmente attrattivo da diventare una “calamita” per Milano e per il nuovo turismo culturale che saprà generare da tutto il mondo. Proprio come è avvenuto a Parigi dove decine di migliaia di turisti da tutto il mondo ogni giorno si recano a visitare il Beaubourg. Importante sarà anche la scelta della giuria, sicuramente internazionale e composta da grandi progettisti di fama, ricordiamoci che a Parigi il presidente fu nientemeno che Jean Prouvé, il quale fece premiare l’unico progetto, su cinquecento, interamente costruito senza un chilo di cemento fuori terra o un mattone o un intonaco.

 

Ecco perché dopo cinquanta anni penso che sia finalmente lecito pensare seriamente a costruire con tecniche simili a quelle cantieristiche o della grande industria metalmeccanica. Del resto queste non sono mie profezie tecnologiche ma proprio di Jean Prouvè, il quale pensava che gli edifici dovrebbero essere realizzati da industrie come Citroën.
Ora mi chiedo, e tutti noi de l’Arca International ci chiediamo: perché no?

Rimandiamo tutto alla prossima puntata.

 

Cesare Maria Casati