L'Arca International N° 122

Gennaio / Febbraio 2015

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Cambieremo ?

 

All’inizio degli anni Settanta il Presidente della Repubblica Francese indisse un concorso internazionale che attirò la partecipazione di 650 progettisti da tutto il mondo per costruire un nuovo centro culturale a Parigi. Opera che, realizzata pochi anni dopo, divenne Il Centro nazionale d’arte e di cultura Georges Pompidou. Costruzione ormai famosa quanto la torre Eiffel.

 

Pochi però conoscono il valore profetico e innovatore che il progetto di Renzo Piano e Richard Rogers, con il dimenticato Gianfranco Franchini, continua, nonostante sia passato quasi mezzo secolo, a proporre alla nostra cultura costruttiva, esibendo tecniche e materiali che stravolgono ancora i metodi attuali. Quel progetto vinse anche perché il presidente della giuria del concorso era Jean Prouvé, che da sempre sosteneva l’idea che gli edifici nel suo prossimo futuro, che ormai sono i tempi nostri, sarebbero stati costruiti dalle industrie automobilistiche con i principi della cantieristica navale.

 

Cemento armato solo nel sottosuolo e poi ferro, acciaio, alluminio, legno e ora resine, fibre di carbonio ecc. Non più mattoni, intonaci, stucchi, tegole ecc.

 

Una vera e propria rivoluzione culturale e scientifica, iniziata da Jean Prouvé e Ludwig Mies van der Rohe, che è stata interpretata e sviluppata da molti degli attuali progettisti, ma che è ancora decisamente trascurata dai costruttori di tutto il mondo, che per lo più continuano a industrializzare solo i vari componenti di una costruzione e non l’edificio intero. Le ultime proposte dei migliori giovani architetti ricercatori, che noi ogni mese puntualmente registriamo, rendono evidente che nel prossimo futuro il progetto di un edificio singolo, che attualmente aggregato a tanti altri progetti diversi diventa nella città un quartiere, non avrà più senso.

 

Si progetterà un unico e complesso edificio attrezzato di servizi e infrastrutture pubbliche comuni, abitato da migliaia di famiglie senza mobilità motorizzata al suo interno e con spazi pubblici e privati adeguati alle diverse esigenze famigliari e di lavoro. La complessità è simile alla costruzione di una grande nave da crociera e i processi costruttivi e progettuali sono simili. È solo un piccolo salto di progresso industriale che non tarderà a verificarsi.

 

Ripropongo la proposta di usare i 110 ettari di area urbana che alla fine del 2015 l’Expo di Milano lascerà liberi per emulare il concorso francese del Beaubourg lanciando una sfida internazionale a tutti gli architetti del mondo per avere idee di come costruire un nuovo brano di città adeguato almeno ai prossimi cinquanta anni, come lo fu il Beaubourg, che coinvolga la ricerca e le capacità della grande cantieristica e delle industrie metalmeccaniche europee. Un progetto e una idea che continuerà a mantenere alta l’immagine di Milano, che così potrà continuare a proporsi, anche dopo l’Expo, come città europea attiva e propositiva unica al mondo.

 

Una occasione che non si potrà ripetere facilmente, almeno in Italia, perché i terreni sono di proprietà pubblica e qualsiasi idea speculativa porterebbe solo vantaggi di pubblica utilità.

 

Cesare Maria Casati