L'Arca International N° 123

Marzo / Aprile 2015

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La Bellezza

 

Nel De re aedificatoria Leon Battista Alberti (1404-1472) definisce la bellezza in architettura “un fattore della massima importanza”, dichiarazione che ai tempi nostri in alcune meditazioni critiche risulterebbe quasi una blasfemia.

 

Chi lo afferma si troverà a disquisire prima su cosa sia la “bellezza” e il “bello” e poi, nella attuale situazione che vede per lo più tutti gli operatori di architettura impegnati nel creare forme sempre più sorprendenti, tecnologiche, energeticamente sostenibili e in continua lotta con le leggi della gravità, tacciato come passatista e poco aggiornato.

 

Attualmente in tutto il mondo assistiamo a fantastiche e impegnative manifestazioni di creatività progettuale e di unicità che si dimenticano spesso di coinvolgere nel loro processo creativo l’armonia come fondamento insostituibile del fattore estetico che, come dice l’Alberti , “è di tutti il più nobile, oltreché indispensabile” perché contribuisce con la sua presenza ad accrescere sia l’utilità che la stabilità.

 

C’è anche una posizione critica oggi alla moda che rifiuta di giudicare secondo i valori estetici della bellezza sostenendo che l’architettura non deve essere un marchio d’autore e non deve appartenere alla cultura del “branding” per non sbilanciare i suoi valori espressivi verso il mercato e il marketing a dispetto della qualità concettuale .

 

Quando studiamo e osserviamo un monumento architettonico dei secoli passati è facile per tutti esprimere meraviglia e apprezzamento usando tranquillamente espressioni riferite alla bellezza perché conosciamo i canoni culturali informatori del progetto. Canoni come: simmetria, proporzioni e armonia; tutti valori che non vengono più volontariamente applicati quando si deve analizzare la contemporaneità. Gio Ponti sosteneva che “nella nostra cultura tutto è simultaneo e che dunque non possono esistere fratture storiche, tecniche o linguistiche nel considerare l’architettura antica e moderna dal momento che i termini di giudizio per giudicare l’architettura trascendono dall’epoca stessa e dai suoi materiali in un ricorso esclusivamente spirituale a perenni e immutabili termini di pensiero”.

 

E’ così vero questo pensiero che forse dobbiamo iniziare a riconsiderare e rivalutare il pensiero progettuale di alcuni maestri della nostra contemporaneità impropriamente definiti dai media come “archistar” per alcune loro opere caratterizzate da straordinarie inusuali forme e rivalutare l’armonica poetica intrinseca espressa per lo più nei dettagli costruttivi e distributivi che nel loro geniale insieme definiscono realmente l’opera.

 

Ritorniamo a trovare la “meraviglia” della poetica che realmente informa un progetto di architettura se è degno di significato e così farlo diventare un reale monumento della nostra civiltà da studiare, proteggere e conservare.

 

Cesare Maria Casati